Onav: comunicare il vino è conoscenza e verità
13 febbraio 2017
Avete mai sentito parlare di “funghi di origine batterica”? O di “pastiglie di zolfo aggiunte nei carri in vendemmia per salvare gli aromi primari del vino”?
Sono solo due delle perle del “bestiario virtuale” stilato da ONAV in occasione dell’incontro “COMUNICARE IL VINO”, che si è tenuto sabato 4 febbraio a Roma, il cui scopo dichiarato era analizzare in profondità l’odierna comunicazione del vino. Un incontro appassionante e coinvolgente, che ha fatto emergere tre parole chiave cui il settore deve necessariamente aspirare: verità, semplicità e chiarezza.
Padroneggiare l’informazione significa, infatti, saper tradurre messaggi anche molto tecnici in modo che possano arrivare al pubblico con facilità. L’obiettivo è dunque quello di “diventare i Piero Angela del vino”, come provocatoriamente proposto da Daniele Cernilli.
Una sfida, questa, particolarmente importante per i docenti di ONAV, ma che dovrebbe essere comune a tutto il mondo del vino, dagli assaggiatori ai giornalisti, dai docenti universitari ai produttori fino agli enotecari. Chi fa formazione ed informazione dovrebbe, infatti, cercare di omologare i contenuti e usare un linguaggio condiviso, allo scopo di raggiungere e far comprendere il messaggio ad un pubblico quanto più vasto possibile, senza fraintendimenti o false verità. Chi ha le conoscenza dovrebbe unire precisione nella trasmissione dei contenuti alla curiosità verso quello che si racconta.
In apertura dell’incontro il presidente ONAV Vito Intini ha anzitutto messo in evidenza come oggi siano indubbiamente molti i canali di informazione e formazione dedicati al vino: associazioni, riviste, corsi privati, blog, magazine, ecc… In questo contesto bisogna perciò soddisfare l’interesse del consumatore attraverso notizie date con competenza, senza però spaventare l’ascoltatore ma coinvolgendo la sua attenzione e la sua curiosità. La comunicazione è infatti, e soprattutto per ONAV, servizio verso il prossimo, ovvero mettere a disposizione del pubblico le proprie conoscenze ed esperienze.
Come sottolineato poi da Vincenzo Gerbi, presidente del Comitato scientifico ONAV e ordinario di Enologia all’Università di Torino, spesso alcune nozioni che il comunicatore dà per scontate non vengono invece recepite correttamente dall’ascoltatore: numeri percentuali, unità di misura, sostanze chimiche sono solo alcuni esempi. L’assaggiatore-divulgatore, perciò, deve necessariamente mettere in discussione le proprie competenze, avere un approccio umile e misurare frequentemente le proprie capacità di comunicazione. Solo così potrà trasmettere il bagaglio di conoscenze ed informazioni riguardanti la storia del vino, i vitigni, la tecnica enologica, ecc, divulgando, oltre che conoscenze sul vino, uno stile di vita in cui l’assaggio sia esperienza diretta delle nozioni apprese.
Ha proseguito quindi Osvaldo Failla, ordinario di Viticoltura all’Università di Milano, che ha voluto porre l’attenzione sulla concretezza dell’informazione. Portando come esempio il concetto di terroir ed analizzandolo dal punto di vista scientifico, ha infatti evidenziato come vi sia la necessità, da parte del comunicatore, di interrogarsi sulla reale efficacia della divulgazione di concetti astratti, spesso di difficile comprensione per il consumatore finale.
Bisogna perciò diffondere la conoscenza utilizzando linguaggi semplici, come evidenziato anche dal prof. Luigi Moio, ordinario di Enologia all’Università Federico II di Napoli, che nel suo intervento ha voluto dimostrare come si possano trasmettere dei concetti assolutamente tecnici anche attraverso l’utilizzo di immagini e di esempi semplici e divertenti. Cercare nuovi modi di raccontare il vino e le sue basi scientifiche è dunque ciò che il buon divulgatore deve fare per riuscire ad avvicinare un pubblico quanto più ampio possibile.
Anna Schneider, ricercatrice IPSP del CNR, ha invece posto l’attenzione sulla assoluta necessità di dare informazioni verificate e certe, in particolare all’estero, dove non sono ammesse notizie errate o imprecise. Da questo nasce l’esigenza, per chi comunica il vino, di attuare precisi controlli sulle fonti e selezionare i contenuti, come nel caso dei vitigni in cui è necessario avere riscontri certi, basati sulla genetica molecolare, per dimostrare eventuali origini o parentele. Solo così si può essere ascoltati con attenzione, perché “La conoscenza è il primo passo verso l’apprezzamento e l’amore”.
La parola è quindi andata a Daniele Cernilli, direttore de L’assaggiatore e di Doctor Wine, che ha voluto mettere a fuoco la figura del giornalista, il cui ruolo è, prima di tutto, rendere comprensibile ad un ampio pubblico nozioni scientificamente corrette. Generalmente si pensa, infatti, che una cosa detta sia già una cosa comunicata ma non è così. Non c’è spazio per informazioni imprecise o prese di posizione “a prescindere”. Bisogna comunicare in modo semplice ed accessibile, come facevano Luigi Veronelli e Mario Soldati, ricordandosi che la comunicazione è soprattutto servizio verso gli altri.
Il direttore di Arcipelago Muratori Francesco Iacono ha, quindi, proseguito parlando di storytelling e di come oggi non si possa più raggiungere il consumatore solo con la classica comunicazione pubblicitaria. Semplificando, si potrebbe infatti dire che narrazione è riportare una storia…. Ma, di fatto, non è solo questo, perché la storia deve essere vera e condivisa. Questo vale ancor più nel mondo del vino, dove molti sono i luoghi comuni. La narrazione deve essere quindi basata sulla trasparenza, bisogna comunicare quello che si sa e che si può comunicare. La sfida è farlo senza banalizzare ma rendendo il racconto bello, emozionante e, soprattutto, vero.
Giuliano Boni di Vinidea ha voluto invece esaminare se l’innovazione tecnologica sia un ausilio o un vincolo alla comunicazione del vino. È indubbio che il vino oggi si faccia diversamente da 2000 anni fa, grazie anche all’utilizzo di macchinari d’avanguardia, sia in cantina che in vigneto. La comunicazione sembra però che quasi si vergogni della tecnologia, non utilizzandola nel messaggio al consumatore. L’obiettivo dovrebbe perciò essere comunicare in positivo, raccontando ciò che si fa e non ciò che non si fa.
Il testimone è quindi passato a Francesco Bonfio di Vinarius, che ha portato la propria esperienza di enotecario. In enoteca la comunicazione si è sempre fatta in modo accessibile. Di tutto il mondo del vino, infatti, solo chi lavora nel pubblico esercizio ha il consumatore finale a pochi centimetri di distanza. Una posizione unica, quella degli enotecari, che hanno la necessità di dover comunicare e di farlo in una certa maniera. Comunicare la verità è perciò un prerequisito imprescindibile, poiché se si mente il rischio di perdere il cliente è reale.
Infine Carlo Pietrasanta, presidente Movimento Turismo del Vino, ha voluto evidenziare come l’esperienza sia la vera chiave della comunicazione. Solo attraverso la degustazione, l’assaggio, la visita in cantina, al consumatore rimarrà infatti un ricordo indelebile del vino, a cui si aggiungerà il racconto personale del vignaiolo che ha prodotto quell’etichetta. Forse questo non si tradurrà in una vendita ma certamente quel vino verrà capito e apprezzato come testimone di una storia emozionante.
La sfida per ONAV, e per tutto il mondo del vino che oggi fa informazione è, dunque, individuare una comunicazione che tenga presente l’eterogeneità della platea e che faccia della verità e delle correttezza i propri punti di forza. Solo così si potrà essere credibili agli occhi dei consumatori, ampliando il proprio bacino d’utenza e diventando una voce del settore seria ed affidabile.
Il vino, in fin dei conti, non ha davvero bisogno di inventare nulla poiché, per sua stessa natura, è un mondo tutto da raccontare.